Aloe dura, Sedimentazioni

Linda Biella
2022
marmo bianco, ardesia, scarti di marmo
 

“La montagna è un’imponente entità sedentaria in grado di tenere saldi su di sé gli esseri viventi e le pietre nomadi che ne derivano sono l’oggetto del mio lavoro. È interessante notare come nonostante si creda di avere il pieno controllo di un sistema, questo produrrà sempre un’entropia, cioè la tendenza intrinseca a perdere irreversibilmente parte del proprio ordine o delle proprie qualità.”

La ricerca di Linda Biella si concentra su una pianta in particolare, l’aloe vera. Pianta millenaria che, da Cleopatra e Nefertiti, ringiovanisce, cura, lenisce il corpo. La medicina ayurvedica la chiama kumani, “giovane ragazza”, perché si pensava fosse custode dell’energia per far ringiovanire la donna. Pianta succulenta, dura, resistente, nata in ambienti aridi, legata all’eternità e all’immortalità.
Eternità e immortalità; l’artista vuole potenziare questi due concetti, invertendo però il processo: non è più l’aloe a offrire una cura, ma è l’artista che si occupa d’essa. Ciò avviene attraverso la riproduzione in pietra della foglia: solo in questo modo l’aloe raggiunge quella durezza, quella resistenza, quell’eternità che la contraddistingue. Dall’aloe vera si ottiene l’aloe dura.
Tra l’artista e le foglie in pietra si crea una forma di sintonia, una cura reciproca, uno scambio. La pianta riprodotta non perde le sue proprietà curative: attraverso la lavorazione dettagliata del marmo l’artista raggiunge quella concentrazione mentale che rende possibile il gesto fisico, un gesto di forza e di finezza. Dal marmo scartato nasce un secondo lavoro: Sedimentazioni. Allo scarto viene data una seconda vita, una seconda possibilità di essere trasformato in scultura. Si crea così un’economia circolare simile a quella naturale, a quella geologica: in natura nulla è perso per sempre. Un atomo di carbonio giace milioni di anni sotto forma di roccia calcarea, legato a tre atomi di ossigeno e uno di calcio, poi un uomo con un piccone lo frantuma, lo getta nel ciclo della vita: dalla foglia al frutto, dal frutto all’uomo, dall’uomo alla farfalla, dalla farfalla alla sua corazza, dalla corazza alla terra – nuovamente alla terra. Ciò perché la natura si muove per trasformazioni, per sedimentazioni.
L’artista si occupa delle foglie d’aloe in modo onnicomprensivo: cura non solo ciò che effettivamente può esser definito scultura, ma presta attenzione a tutto ciò che si perde nel momento della creazione. Il gesto di chiudere in conglomerati i frantumi di pietra sembra essere un atto di protezione, un atto di gentilezza verso tutto ciò che è residuale. Tuttavia c’è sempre una zona d’ombra: le polveri e i frammenti più sottili non potranno essere recuperati. L’opera è sia il voler dar valore a tutto ciò che è scultura, sia l’accettazione della perdita, di una scarica di energia disordinata che non può essere controllata.
 
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